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Archiviata anche la Giornata Mondiale della Povertà, voluta da Papa Francesco, come prolungamento del Giubileo della Misericordia, il messaggio di questa giornata ispira il nostro quotidiano impegno a favore dei poveri. Una giornata come questa ha senso solo e nella misura in cui orienta gli altri giorni dell’anno, altrimenti rimane una cattedrale nel deserto dove per un giorno ci facciamo prendere dal sentimento o dal pietismo nei confronti dei poveri. Ci accorgiamo che esistono!

Prendendo spunto da un Salmo Papa Francesco indica la strada da seguire declinando tre verbi che vogliamo fare nostri e tradurli nell’operoso servizio a favore dei poveri. Riporto liberamente alcuni stralci del Messaggio.

Anzitutto gridare. La condizione di povertà non si esaurisce in una parola ma diventa un grido che raggiunge Dio. Che cosa esprime il grido del povero se non la sua sofferenza e solitudine, la sua delusione e la sua speranza. Possiamo chiederci: come mai questo grido, che sale al cospetto di Dio, non riesce ad arrivare alle nostre orecchie e ci lascia indifferenti e impassibili? Siamo davvero capaci di ascoltare i poveri? La loro voce è spesso zittita dalle voci di chi considera i poveri sì persone indigenti, ma anche come portatori di insicurezza, instabilità, disorientamento dalle abitudini quotidiane e, pertanto, voci da respingere e tenere lontano. Si tende a creare una distanza tra sé e loro e in questo modo ci si rende distanti dal Signore che non li respinge ma li chiama a sé e li consola. È il silenzio dell’ascolto ciò di cui abbiamo bisogno per sentire la loro voce.

Un secondo verbo è rispondere. La risposta è una partecipazione piena d’amore alla condizione del povero. La Giornata Mondiale dei Poveri intende essere una piccola risposta che dalla Chiesa intera e dalla società, si rivolge ai poveri di ogni tipo e di ogni terra perché non pensino che il loro grido sia caduto nel vuoto. Probabilmente è una goccia d’acqua nel deserto della povertà; e tuttavia può essere un segno di condivisione per quanti sono nel bisogno, per far sentire la presenza viva ed efficace di un fratello e una sorella. La risposta non è una qualunque forma di assistenzialismo, ma richiede quell’attenzione di amore che onora l’altro in quanto persona e cerca il suo bene.

Terzo verbo liberare. La povertà con la quale ci confrontiamo ogni giorno non è cercata, ma creata dall’egoismo, dalla superbia, dall’avidità e dall’ingiustizia. Mali antichi quanto l’uomo, ma pur sempre peccati che coinvolgono tanti innocenti, portando a conseguenze sociali drammatiche. La libertà che Dio suscita nel cuore del povero prende la forma di una mano tesa verso di lui, che offre accoglienza, protezione e permette di sentire l’amicizia di cui ha bisogno. È a partire da questa vicinanza concreta e tangibile che prende avvio un percorso di liberazione: «Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati a essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e a soccorrerlo».

Sono tante le situazioni di povertà che incontriamo: economiche, sanitarie, relazionali, culturali; le povertà legate all’ambiente nel quale uno vive; la povertà dei senza dimora che conoscono solo la fatica e la solitudine della strada. Non possiamo fare distinzioni tra più poveri e meno poveri, tra italiani e stranieri, tra giovani e anziani. Tutti sono accomunati da un unico grido che non è solo di disperazione, ma di speranza con cui il povero manifesta la certezza di essere liberato. Certamente da Dio che opera attraverso le mani dell’uomo che si aprono nell’accoglienza, nel dono di sé, nella condivisione e nella gratuità.

Padre Maurizio Annoni

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