Pubblicato il 29 Agosto 2018 In questo mese di agosto che stiamo per congedare non ci siamo lasciati mancare nulla: dalla tragedia che ha colpito Genova con il crollo del ponte Morandi, alle inondazioni in India nello stato del Kerala, ai morti del parco nazionale del Pollino, alle drammatiche morti del caporalato in Puglia, ai terremoti nelle Filippine. E poi da ultimo le vicende del guarda coste Diciotti con il suo carico di migranti raccolti in mare ai quali era impedito di sbarcare. Fatti gravi che hanno toccato la vita di singoli, di intere famiglie, delle comunità. Le sofferenze e il dolore che per tanti motivi hanno toccato le persone coinvolte direttamente o indirettamente nelle tragedie che si sono consumate pongono una domanda: siamo capaci di ascoltare le povertà che vediamo, che incontriamo, che sappiamo esistere? C’è ancora un angolo della nostra coscienza che riflette e riesce a dare un giudizio, aldilà delle apparenze e senza scadere nella superficialità o, peggio ancora, cedendo la nostra mente all’ammasso, della serie “tutti la pensano così”? Ascoltare la povertà significa innanzitutto aver rispetto della persona che toccata dalla povertà chiede aiuto, comprensione, solidarietà. Ha soprattutto un’esigenza di condividere il dolore e la fatica, le attese e le speranze. La relazione di aiuto che si instaura con le persone ha lo scopo non solo di far sentire la nostra vicinanza ma anche di promuovere quanto è necessario per far crescere l’altro, per migliorare la sua condizione. E ancor prima è necessario non far pesare la diversità, che inevitabilmente allontana i soggetti tra loro. Il rispetto per la persona non tollera l’indifferenza, lo sfruttamento nei confronti dei poveri realtà che vediamo puntualmente verificarsi soprattutto verso i migranti. Le immagini e le notizie dei mass media ci riferiscono di condizioni lavorative e abitative dove è difficile vedere l’attenzione alla persona. In altre parole è duramente calpestata la dimensione dell’accoglienza, anzi i poveri accolti diventano solo occasione per un vergognoso business. Ascoltare la povertà significa ancora avere rispetto della storia che ogni povero porta con sé, di un passato che in vari modi ha segnato la loro vita. Lo sanno molto bene gli psicologi del Poliambulatorio che si trovano di fronte migranti che presentano disturbi post traumatici dovuti in primis ai motivi raccapriccianti per cui sono stati costretti a fuggire e poi dal percorso migratorio, perché il viaggio di migrazione è un altro elemento di grande traumatizzazione. Torture, violenze, persecuzioni non sono solo dei ricordi per chi le ha subite, sono ferite ancora aperte sulle quali bisogna versare “l’olio della consolazione e il vino della speranza”. Non possiamo emettere giudizi superficiali o affrettati nei riguardi di queste persone: è la loro stessa storia a farci riflettere, a porci delle domande su questi nostri fratelli e sorelle che mostrano la loro fragilità e nel contempo il coraggio di saper portare anche enormi sofferenze nella certezza che una vita migliore si apra davanti a loro, di cui noi siamo complici e artefici. L’atteggiamento di San Francesco nei confronti dei lebbrosi del suo tempo è paradigmatico per comprendere che cosa significhi ascoltare la povertà. Chi si presenta davanti a lui è, per Francesco, creatura ferita ma donata da Dio verso la quale, senza pregiudizi e senza paura di contagio, il Santo si muove. La prossimità con il povero lebbroso gli fa scoprire di essere in debito verso di lui. Infatti tante azioni che definiamo atti di carità, in realtà sono gesti di giustizia. Con l’abbraccio al lebbroso Francesco va oltre la mentalità del suo tempo che chiude i malati in ghetti impedendo loro qualsiasi forma di socialità. Non può essere il muro o la chiusura dei porti ai migranti la risposta che dobbiamo dare. Francesco con la sua spiritualità, fatta di concretezza e di amore, ci manda in una società che sebbene si dichiari garante dei diritti umani, in realtà, fabbrica poveri, e ci incarica di proporre forme autentiche di prossimità, stili alternativi di vita e segni visibili di comunione. Fino a quando staremo alla finestra a guardare i poveri che saranno sempre più poveri, a permettere che i loro diritti vengano calpestati, che la loro dignità trovi priorità? È il tempo dell’azione, è il tempo in cui alla neutralità dell’intervento pubblico opponiamo risposte di ‘senso’, all’asetticità contrapponiamo il calore della relazione, alla lentezza la sollecitudine, allo spreco il risparmio, all’inefficienza l’efficacia. Un caro saluto di pace e bene. padre Maurizio Annoni