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Tra pochi giorni celebreremo la solennità di San Francesco d’Assisi. Non a caso nel lontano 1939 Papa Pio XII lo nominò patrono d’Italia adducendo, come motivazione che la santità di vita del Poverello aveva molto da insegnare agli italiani in un momento difficile, politicamente e socialmente parlando. In un passaggio del documento dice espressamente: “diede insuperabili esempi di vita evangelica ai cittadini di quella sua tanto turbolenta età”. Mi domando se oggi ancora Francesco possa dire qualcosa a questa nostra società diversa e per alcuni aspetti simile alla sua, dove spesso l’uomo si trova disorientato e incapace di trovare punti di riferimento per il suo cammino.

Leggendo la vita di Francesco e il suo messaggio spirituale, trovo, tra le tante, tre parole che possono essere d’aiuto all’uomo d’oggi e possono definire una società migliore, una “città degli uomini più vivibile.

Compassione è la prima parola. L’uomo malato, sofferente, infelice, povero spesso si chiude in se stesso, non riesce a cogliere un futuro diverso da ciò che sta vivendo. Per Francesco non bisognerebbe lasciare neppure un istante un fratello in condizioni simili. La sofferenza degli altri era un corpo estraneo inflitto nella sua propria carne. Ricondurre questi infelici nella cerchia dei normali rapporti umani da cui non dovrebbero mai essere tagliati fuori, è la sua prima e sentita reazione. Ricondurre alla normalità e ridare coraggio questa è la prima caratteristica della compassione di Francesco.

Compatire per Francesco significava partecipare in prima persona alla pena dell’altro, qualunque essa fosse. Comprendere ed agire di conseguenza impegnando la propria sensibilità e la propria affettività. La compassione non si ferma ad alcuni aspetti della vita, ma ha cura della persona nella sua interezza.

Inoltre la compassione di Francesco intende essere una provocazione, un trascinare gli altri: scuote le apatie, rende gli egoisti consapevoli del loro male, porta ad un superamento della propria situazione.

La seconda parola è fraternità. Per Francesco la fraternità si basa su tre azioni: chiedere, dare, nella libertà. Non potendo entrare nello specifico delle tre fasi, bisogna mettere in evidenza che per Francesco la vita fraterna è essenzialmente concepita a guisa di scambio. È il solo modo di incontro vero. Non posso dare veramente all’altro (dargli qualcosa che lo faccia veramente crescere) se, nello stesso tempo, non permetto all’altro di dare anche a me. Penderei addirittura che, per una misteriosa “fisica spirituale”, ci sia una sorta di parità di valore tra quel che do e quel che ricevo. La fraternità non è il luogo dove alcuni si arricchiscono perché ricevono, ed altri al contrario si impoveriscono perché danno. Ognuna scambia con l’altro ciò che è e ciò che ha. È il luogo in cui ciascuno può fare contemporaneamente l’esperienza della sua povertà e della ricchezza di amore nella quale è chiamato a realizzarsi.

Chiude la pace terza parola. Oggi dove dominano a troppi livelli l’aggressività, l’intolleranza, la “giustizia fai da te”, credo che il modello proposto da Francesco sia urgente da applicare per non ritrovarci complici di una società segnata dalle divisioni e dagli odi.

Fraternizzare con tutti gli uomini, con tutte le creature come fa Francesco, significa optare, alla luce della Redenzione, per una visione del mondo in cui la riconciliazione prevalga sulla rottura; significa aprirsi, al di là di ogni separazione e solitudine, ad un universo di dialogo e di comunione in un immenso afflato di perdono e di riconciliazione. Il Cantico delle Creature celebra la fraternità cosmica, al quale Francesco aggiunse la strofa sul perdono e la pace. Il Cantico ricolloca l’uomo nell’unità della creazione, sotto il segno della riconciliazione. Questa unità non è da ricercarsi indietro, nel passato, ma avanti, là dove si offre come un dono da ricevere e un compito da realizzare.

Padre Maurizio Annoni

foto di Francesco Manganelli

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