Pubblicato il 28 Gennaio 2018 Matteo è un signore gioviale di 73 anni e quando lo incontriamo indossa giacca e cravatta, sembra pronto per l’ufficio. Invece è in pensione ormai dal 1995 e da allora è volontario in Opera San Francesco. 22 anni di onorato servizio al Centro Raccolta di Via Vallazze 113. Una delle nostre colonne. Matteo, come ha conosciuto OSF e perché ha deciso di diventare volontario? Abito qui vicino e quando andavo a lavorare, dal tram, ho sempre visto la coda davanti a Opera San Francesco. Quando sono stato mandato in pensione “a sorpresa”, non me lo aspettavo, avevo solo 50 anni e i primi tempi è stata dura. Non ero abituato e così ho deciso di fare qualcosa. Qualcosa di “buono”. Allora c’era un ufficio di OSF che si occupava degli aspiranti volontari in via Nino Bixio e occorreva fare un colloquio con la psicologa. Dopo averlo fatto sono stato richiamato molto velocemente e mi hanno offerto di lavorare al Centro Raccolta dove c’era Suor Orsola. Com’era allora in Centro Raccolta e come è cambiato oggi? Innanzitutto eravamo ubicati sotto la Mensa, accanto alle Docce, e a quei tempi non c’era alcuna informatizzazione e uno sportello solo per distribuire agli utenti gli abiti in una stanza piccola con una decina di scaffali. La raccolta degli abiti avveniva direttamente fuori dal convento e i carrelli colmi di indumenti venivano poi portati sotto a noi che facevamo la cernita e decidevamo come dividerli. Il lavoro è lo stesso di adesso, ma ora sono cambiate le quantità e abbiamo l’aiuto della catalogazione informatica. Anche allora la maggior parte degli abiti ritirata era per gli uomini, noi volontari eravamo meno e anche gli utenti rispetto ad adesso. Soprattutto Italiani. Ora in via Vallazze non vedo le persone che hanno bisogno ma solo i benefattori che portano la merce. Proprio ieri mi è capitato di abbracciarne una che si è commossa perché ci ha consegnato gli abiti che erano del marito mancato da poco. Anni fa, quando vedevo gli utenti venire allo sportello, mi rendevo conto delle differenze tra le varie culture; per esempio i musulmani non volevano mai abiti sgargianti ma solo colori scuri, i sudamericani invece cercavano cose colorate. Poi ci siamo trasferiti in via Apuleio, uno spazio molto più ampio per rispondere alle esigenze crescenti. Era solo magazzino e gli utenti continuavano ad andare in via Kramer per avere il cambio d’abiti puliti. Negli anni abbiamo cercato sempre di ingrandirci e migliorarci. In via Vallazze con Stefano, il responsabile del Servizio, si è creata subito una bella atmosfera e insieme lavoriamo bene. Siamo ben organizzati e ognuno ha un compito preciso: c’è chi accoglie le persone che arrivano con gli abiti, chi fa la prima cernita e mette da parte ciò che non è adatto, chi continua nella selezione e divide gli indumenti tra uomo, donna e bambino, chi prepara la merce da inviare al Servizio Guardaroba in via Kramer. È un servizio eccezionale e chi porta le proprie cose qui può star certo che sta contribuendo ad aiutare chi ha bisogno. Però devo anche dire che in tanti ci usano come discarica e ci consegnano indumenti e altre cose in pessimo stato o sporche. Questo mi fa soffrire perché significa che ritengono che i poveri non meritino abiti decorosi. Mentre noi lavoriamo perché riacquistino, anche grazie a questo servizio, dignità. Vuol dire qualcosa quindi a chi ha intenzione di portare della merce al Centro Raccolta? Raccomando a tutti di consegnare in via Vallazze solo indumenti in buono stato e puliti nel rispetto delle persone che potrebbero averne bisogno e, se è possibile, di dividerli già tra uomo, donna e bambino. Per noi è un grosso aiuto. Cosa le ha dato il volontariato? Il mercoledì mattina, quando mi preparo per il mio turno al Centro Raccolta, mi sento parte di quella società civile che produce e produce il “bene” e questa cosa mi fa star meglio. Oggi tra di noi, manca condivisione, quella vera, non quella degli smartphone, quella della quotidianità e quindi c’è meno percezione del disagio che parte della società vive. Ci sono grandi sofferenze e in molti non se ne accorgono.