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Francesca ormai da qualche anno è una delle persone che gli utenti del Servizio Docce e Guardaroba di OSF trovano al di là del bancone ad accoglierli. Ci racconta di essersi un po’ stufata della sua routine a un certo punto della sua carriera lavorativa e di aver così deciso di provare a fare un’esperienza di volontariato. Non avendo problemi di orario, si è buttata in questa nuova avventura.

“Sono cresciuta in questo quartiere, vedevo quotidianamente le code davanti a Opera e quando ho pensato al volontariato mi sono detta che era meglio farlo in un luogo che conoscevo. Ho partecipato a un paio di riunioni e poi sono stata chiamata quasi subito. In realtà però non sapevo nulla di preciso su OSF. L’ho scelta per una questione di vicinanza.

Sono rimasta subito molto colpita al primo incontro: ricordo di averlo trovato illuminante per quanto riguarda la dignità. Inoltre non sapevo che l’ordine francescano fosse aperto alla comunità, quindi che non fosse solo dedito alla meditazione, ma anche all’aiuto al prossimo.

Posso dire che una volta cominciato, non ho più smesso. E sono felice soprattutto di essere stata assegnata qui al Servizio Docce e Guardaroba: secondo me questo è un modo molto bello di fare volontariato. È un’attività molto veloce, non c’è mai tregua, i tempi sono importanti: come dice suor Orsola non ci si può perdere in chiacchiere. Ma soprattutto si toccano con mano le necessità delle persone e il loro desiderio di continuare a sentirsi normali.

Nonostante il poco tempo, si creano delle relazioni anche se fugaci e si ha la soddisfazione di dare a chi ne ha bisogno ciò che desiderano, anche seguendo i suoi gusti. Qualcuno vuole i jeans stretti, altri la maglietta colorata, ognuno ha i propri gusti. Come noi andiamo a fare shopping, allo stesso modo i nostri utenti scelgono ciò che gli piace.

Certamente la prima cosa che colpisce tutti quando si viene al Servizio Docce e Guardaroba è l’odore, poi ci si abitua, ma sicuramente è impattante. Che non è necessariamente puzza, ma odore di chi non ha ogni giorno la possibilità di farsi la doccia.

Un’altra cosa che impressiona positivamente è l’organizzazione perfetta, perché qui in OSF c’è un processo che fa scorrere tutto su binari precisi e più che oliati che risulta però anche un minimo complessa per chi arriva le prime volte: registrare, senza dimenticare nulla, confermare… e poi… escono di qui, entrano di là… ci vuole un attimo per capire tutto e assestarsi.

E poi si sono gli utenti: a volte ti intimidiscono perché sono vari e riflettono anche tutte le forme di disagio che esistono. Chi non ha lavoro, chi è alcolista, chi magari assume droghe, chi ha problemi psichici… Lo staff è una famiglia, ci si conosce alla fine tutti. Anche tra noi volontari e gli utenti, rimane però una minimo di distanza, necessaria se si vuole lavorare bene. Tutto funziona anche grazie a regole ben precise: fra Domenico – il responsabile – e la suora – Orsola di cui leggerete nello Speciale – sono basilari affinché il servizio vada liscio. Anche per gli utenti è bene sapere che ci sono regole e gerarchie: sanno che c’è il volontario allo sportello ma sopra di lui un referente, che è una tutela, una protezione per noi volontari. Così, se hanno delle esigenze e richieste particolari, devono rivolgersi a Domenico.

In questi anni di servizio ho visto tantissime persone, di tutte le nazionalità: qui infatti si riflettono perfettamente gli avvenimenti dell’esterno. C’è sicuramente uno zoccolo duro di persone dell’Est e nord Africa e per il resto va molto a ondate: richiedenti asilo, migranti economici, vittime di crisi economiche”.

Mentre parliamo arriva suor Orsola e dice: “Francesca è una delle più fidate che ho!”. “Che onore, grazie!” risponde Francesca sorridendo.

Riprendiamo a chiacchierare: “Gli utenti non sono tutti uguali, perché hanno radici culturali diverse: è anche divertente osservarli, per esempio un ragazzo giovane africano non vestirà mai come un egiziano. Il primo non ama colori sgargianti ma predilige il beige, tutti i toni del grigio, il blu e il nero. Con gli altri invece ti puoi davvero sbizzarrire coi i colori!

Tra le persone che ricordo c’è sicuramente Attila: già il nome era un programma! Baffoni rossi, un po’ bellicoso, con dei problema di alcol, era ungherese”.  “Duro come un sasso” lo definisce suor Orsola che interviene. “Dormiva in piazza san Babila, era ben temprato alla strada. Quando veniva al Servizio Docce e Guardaroba ci portava le tavolette di cioccolata, le caramelle. Andava al Pane quotidiano e quando poi arrivava qui lasciava dei regalini ai volontari. Una volta, qui c’è il mercato al lunedì, lui deve aver guardato tra le cose da buttare, e ha trovato una cornicetta rotta, e me l’ha regalata, senza sapere che era il mio compleanno. È stato un gesto troppo carino, che non dimentico. Quindi, anche i più duri, hanno gesti di gentilezza.

Al termine, chiediamo a Francesca se parla mai della sua esperienza come volontaria e ci dice: “Non so se chi non l’ha mai fatto può capire. Quando lo racconto mi dicono che sono brava, ma in realtà non è così… è proprio bello farlo. Io dico sempre: “Toglietemi tutto ma non il volontariato in Opera! Il volontario dà più soddisfazioni ai volontari che agli utenti, è una coccola che uno si dedica”.

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