Pubblicato il 1 Aprile 2020 All’inizio di marzo tutti abbiamo sottovalutato la gravità dell’epidemia: “sarà la solita influenza, magari un po’ più fastidiosa, ma cosa vuoi che sia…”. Poi abbiamo ammesso che avrebbe colpito solo gli anziani più deboli, adesso sappiamo che il virus può infettare chiunque. Siamo tutti a rischio. Tutti: ricchi e poveri, credenti e non credenti, rintanati in una casa e persi a parlare da soli lungo le strade delle città deserte. Siamo tutti sulla stessa barca, ci ha detto Papa Francesco venerdì 27 marzo, nella preghiera straordinaria in Piazza San Pietro, in una solitudine resa più acuta dalla pioggia! Solo, sola, ciascuno a scavare sotto la paura che svela la nostra fragilità e la nostra impotenza di fronte ad un evento della natura che atterra tutte le nostre imprese. Ci troviamo come nudi, con una paura grande di morire e una voglia grande di vivere. Ma ci stiamo accorgendo che per sopravvivere, per vivere, abbiamo bisogno delle persone che amiamo, e anche di quelle che prima non amavamo. Quando vedi morire così tante persone innocenti tra i tuoi conoscenti, i tuoi parenti, come fai a rimanere indifferente? Come fai a non piangere, a non farti domande? E mi vergogno profondamente al pensiero di essere rimasto più o meno impassibile quando, nel passato recente, tragedie simili hanno mietuto vittime altrettanto innocenti in paesi lontani, magari giudicati colpevoli di essere poveri… Adesso i poveri siamo noi: ci manca la nostra arrogante onnipotenza, che ci portava a sentirci ciascuno indipendente dall’altro, considerato un fastidioso concorrente. Adesso senza qualcuno che ci dica “ti voglio bene, non avere paura, vedrai che ce la faremo”, ci sentiamo annichiliti. Dipendiamo dal nostro personale sanitario. Non possiamo curarci da soli. Nella testa che pensa esplode una domanda forte: a cosa serve tutto questo dolore? Cosa c’è da capire in questo mistero di sofferenza? Il virus ci ha strappato di dosso la vergogna di ammettere che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che siamo chiamati a prenderci cura gli uni degli altri. Ho bisogno di te dottoressa, infermiere che potresti accogliermi in ospedale, ho bisogno di te amministratore pubblico che puoi organizzare e sostenere il lavoro di chi sta soccorrendo, ho bisogno di te che, per scelta professionale, hai scelto di metterti al servizio di tutti. Ho bisogno di essere considerato meritevole dei costi economici che stiamo sostenendo per le cure. Chi credo di essere? Semplicemente, io sono il tuo bisogno di essere raccolto e amato, nello stato in cui ti trovi, ancora sano o ammalato. Io sono il tuo bisogno di poterti ancora curare, di poterti lavare, di poter mangiare ancora qualcosa, va bene anche freddo in un sacchetto di plastica. Uno degli ospiti che in questi giorni ha fatto la doccia in Opera San Francesco, o è stato visitato in Ambulatorio, o ha preso il sacchetto in Mensa, rivolto a un volontario potrebbe dirgli: “Ho bisogno di te, è vero, ma forse anche tu hai bisogno che io sorrida ancora, anche se non ho una casa dove stare in quarantena e non possiedo un termometro. Se sorrido io che sto soffrendo più di te, che sono solo più di te, forse possiamo tirarci su di morale insieme”. E poi c’è quell’ultimo bisogno, che in verità è il primo. È il bisogno che tutto questo calvario non finisca nel nulla, che non manchi una carezza a chi muore solo. Voglio credere che Dio, a modo suo, non abbia fatto mancare a nessuno questa carezza, voglio credere che Gesù Cristo abbia portato e porti la croce di ogni ammalato. Voglio credere che ogni dolore umano, anche quello causato da questa pandemia, è sofferto da Dio stesso nella persona di Gesù, voglio credere che la sua morte da valore e senso ad ogni nostra morte corporale. Io sono, noi siamo, alla fine e al principio, il bisogno che Dio sia quel grembo d’Amore da cui nasciamo e a cui facciamo ritorno. Grazie ai volontari “storici” che soffrono costretti a rimanere a casa, grazie ai volontari dell’ultima ora che con entusiasmo meraviglioso hanno accolto il nostro appello e stanno sostenendo i servizi di Mensa, Docce e Poliambulatorio. Sono tanti e non hanno paura di rischiare per amore dei più deboli! Grazie in particolare ai City Angels che ci hanno soccorso per primi! Grazie a tutti i dipendenti. Grazie al Comune di Milano e alla Protezione Civile che ci stanno donando i presidi sanitari necessari. Grazie ai nostri Donatori che ci stanno sostenendo in tantissimi! Fra Cecilio ci direbbe che Gesù non ci ha lasciati soli, Gesù non ci ha abbandonato. Un giorno ci presenterà al Padre suo e capiremo. Rimaniamo insieme nella stessa barca, finché durerà questa tempesta, e pensiamo al dopo, a quando potremo ricostruire le nostre relazioni e le nostre città. Le ricostruiremo nuove fondate su quello che il mistero di dolore e il miracolo di solidarietà che stiamo vivendo ci avranno insegnato. Gesù crocifisso e risorto ripete ancora quest’anno a noi: “Coraggio, io ho vinto la morte!” Buona Pasqua di Gesù! fra Marcello Longhi