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Una notte dei primi anni Novanta mi sono fermato di fronte a uno degli “sfiatatoi” della metropolitana di piazza del Duomo perché erano apparsi una serie di tubi a gomito gialli imbullonati alla griglia che sembravano non servire a nulla. Ho dovuto pensarci sopra per capire la loro funzione: erano “dissuasori” per gli homeless. Dalla metropolitana usciva aria tiepida e d’inverno capitava che qualcuno del popolo della strada ci dormisse sopra e con quella selva di tubi diventava impossibile anche per un contorsionista.

Nei miei primi anni a Milano ero stato anch’io un homeless – dormivo soprattutto sui treni della stazione Centrale – e quei tubi mi sembravano un’oscenità. Possibile che qualcuno li avesse inventati e qualcun altro li avesse installati solo per impedire a un disgraziato di scaldarsi? A Milano, poi, la città dell’accoglienza, del cuore in mano eccetera. Non sapevo, ma l’avrei capito presto, che quei tubi altro non erano che i primi accenni della “guerra architettonica” ai poveri che sarebbe esplosa negli anni seguenti con borchie sui marciapiedi per non sedersi, leggi contro l’accattonaggio, barriere, tornelli, catene, panchine sradicate o rese troppo scomode per dormirci, cancelli per impedire l’accesso notturno ai parchi e via chiudendo. Tutto in nome della sicurezza e del decoro.

Sicurezza e decoro sono state le parole d’ordine che da allora hanno spesso trasformato la lotta alla povertà in una lotta ai poveri, sempre più colpevolizzati per la loro condizione. È come se, dopo le crisi economiche che ci hanno squassato, si voglia allontanare i poveri dalla vista perché ci ricordano che nessuno, o quasi, può dirsi al sicuro.  Per fortuna, però, esistono persone che non considerano i poveri e i senza casa dei nemici, ma come dei fratelli da aiutare.

Una di queste realtà, a Milano, è Opera San Francesco e da laico materialista non posso che rallegrarmi ancora una volta che esista una Chiesa al servizio degli ultimi, senza la quale oggi ci troveremmo di fronte a un’apocalisse sociale. Opera è stata fondata nel 1959 dai Frati Minori e oggi, grazie a frati, dipendenti e volontari, serve pasti, fornisce abiti, bagni e percorsi di assistenza a migliaia di indigenti.

Non conoscendone nulla, sono rimasto colpito da come funzioni e dall’atmosfera che ci si respira quando sono andato in un giro esplorativo. In Opera San Francesco sembra di stare dentro una di quelle fiction dove ci sono le suore che cantano e i preti che ballano, dove tutto finisce sempre bene. Ho visto frati e volontari gestire un flusso incessante di persone, che parlano decine di lingue diverse, che hanno migliaia di storie diverse alle spalle, di bisogni, di paure, e lo fanno senza dare di matto. Avere a che fare con chi si sente, e forse si trova davvero, nel momento più oscuro della propria esistenza è provante per chiunque, ma per tutto il tempo che sono stato in Opera non ho sentito nessuno alzare la voce, nessuno arrabbiarsi, nessuno perdere la pazienza. Persino gli addetti alla security hanno sempre un sorriso in faccia invece di un ghigno truce.  La cosa che mi ha stupito di più è stata però la cucina. Ho fatto il cuoco per qualche anno, e in tutti i posti dove sono stato, prima che si aprissero le porte e si cominciassero a servire i primi pasti c’era sempre una notevole tensione, spesso con cuochi e camerieri che si tiravano i piatti. Lì no, lì tutti ridevano e scherzavano mentre spostavano pentoloni enormi e gigantesche zuppiere di insalata tra attrezzature degne di un grand hotel (e tenute meglio di quasi tutti i grand hotel che ho frequentato). Nessuno di loro cantava e ballava, ma sembravano tutti orgogliosi di quello che stavano facendo, l’orgoglio di chi investe le proprie energie per aiutare gli altri.

Non so se il tizio che trent’anni fa ha progettato i tubi sulle griglie delle metro sia ancora vivo e se sia in buona salute e florido. Nel caso che abbia avuto un rovescio di fortuna, gli auguro di passare da Opera San Francesco dove scoprirà che ci sono progetti migliori cui dedicare le proprie energie. E che ci sono posti dove essere poveri non è né una colpa, né una vergogna.

Sandro Dazieri, detto Sandrone, è uno scrittore e sceneggiatore italiano. Dalla sua nota serie del Gorilla, è stato tratto anche un film.

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