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“È impressionante tutto quello che voi di Opera San Francesco fate per le persone che vivono in povertà, ma mi perdoni una domanda che le sembrerà aridamente manageriale: quante di queste persone riuscite a riscattare dalla povertà, quante ce la fanno a tornare ad una vita normale?”.
Il tono della voce e lo sguardo di questo importante dirigente mi comunicano una preoccupazione sincera, quasi sofferta, come se avesse paura che non ne valesse la pena. Certamente è abituato a giustificare ogni investimento con i necessari risultati numerici.

Mi piacerebbe poter vantare numeri almeno a due cifre ogni anno, ma la misurazione dell’impatto sociale in un contesto o nello svolgersi di una singola storia personale non è riducibile ad un numero. I percorsi di rinascita delle persone che portano ferite non conoscono automatismi o scatti obbligati in tempi garantiti, spesso ci vogliono anni…
Il passo più difficile, il primo e il più importante, da far fare ai nostri ospiti è recuperare la stima di se stessi, la persuasione di meritare ancora la fiducia e l’affetto di qualcuno che crede ancora in te e può darti una mano a ripartire. E lo fa solo perchè ti riconosce ancora quella bellezza umana che tu hai sepolto sotto i tuoi fallimenti o quelli della società in cui viviamo.

Al mio amico dirigente potrei dire che ogni giorno in OSF i nostri operatori e i nostri volontari dei Colloqui di Ascolto dedicano tempo tranquillo per ascoltare una decina di nostri beneficiari che ci chiedono aiuto e in qualche modo vogliono ripartire.
Una parte di questi colloqui evolve in una relazione più continuativa che permette di stendere un progetto personalizzato e verificabile nel tempo. In questa prospettiva si devono trovare strade alternative, creative, ci vuole perseveranza, non bisogna farsi abbattere dalle difficoltà e dalle resistenze. Sul lungo periodo i risultati sono anche numericamente apprezzabili.
Va anche detto che molto spesso le persone che abbiamo aiutato a ripartire, non appena riescono a rimettersi in piedi, non amano ricordare i periodi di difficoltà e coprono con un comprensibile pudore l’aiuto ricevuto: così non li rivediamo più. 

C’è però chi non si vergogna di quello che ha vissuto in OSF e, come il Signor Angelo, vuole tornare a raccontare come è riuscito a costruirsi una vita bella.
Quando mi sono confrontato con lui al telefono, ho intuito che la richiesta di poter festeggiare il suo compleanno venendo a fare servizio in Mensa non voleva essere solo un ringraziamento, ma anche un modo silenzioso per dire ad ognuno dei nostri ospiti: “Se ce l’ho fatta io, ce la puoi fare anche tu!”.

Complimenti Angelo e grazie per la sua umiltà e il suo coraggio di esporsi!
Sono sicuro che come lei sono tante le persone che sono tornate a vivere un vita buona grazie a fra Cecilio e a tutti coloro che sulle sue orme francescane continuano a dare una mano ad ogni persona, tutti i giorni, per amore di Dio e dell’uomo.
Caro amico dirigente, mi piacerebbe farle conoscere il signor Angelo e la sua famiglia: ricordiamoci che “Chi salva una vita salva il mondo intero” (Talmud di Babilonia).

fra Marcello Longhi

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