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Si chiameranno… Paolo e Francesca!

Vengono entrambi dalla Colombia. Lui sessant’anni ottimamente portati, capelli alla nazaretana, genitori italiani. Lei molto più giovane, un viso minuto con due occhi gioiosi, colombiana da sempre. Paolo è andato e tornato dalla Colombia molte volte, Francesca lo ha raggiunto da poco per costruire con lui un futuro in Italia. Chiacchieriamo seduti in Piazza S. Eustorgio durante l’evento della Notte dei Senza Dimora a Milano. 

“Se vuoi vivere da uomo onesto, in Colombia non c’è più spazio per sopravvivere, neanche se sei povero. Il presidente è il capo del narcotraffico, la politica è corrotta per definizione e la magistratura pure. Le autorità di pubblica sicurezza sono al soldo dei trafficanti di droga e la violenza impunita ormai è normale. Che spazio può avere lì una storia d’amore? Come puoi pensare di farti una famiglia in quelle condizioni?”.

“Ho deciso di lasciare il mio paese – racconta Francesca – perché Paolo mi ha sempre protetto, e gli voglio bene. La mia famiglia di origine ha cercato di mantenere la sua dignità, e per questo vivevamo nella miseria. Mi dicevano che ero molto carina e che per me sarebbe stato facilissimo trovare il solito lavoro: avrei guadagnato a sufficienza per me e anche per i miei di casa. Ma Paolo non sopportava di leggere la disperazione e l’umiliazione nei miei occhi: abbiamo deciso di venire via insieme. Abbiamo cercato di raggranellare un po’ di soldi, abbiamo chiesto aiuto ai parenti, qualcuno si è indebitato per noi, abbiamo preso l’aereo e adesso siamo qui.” 

“Io ho la cittadinanza italiana – riprende Paolo – ma Francesca non ha ancora i documenti. Siamo stati accolti in una parrocchia, abbiamo il domicilio lì e viviamo insieme ma non vogliamo approfittarci ancora per tanto di questa ospitalità. Ho trovato lavoro, vorremmo sposarci, stiamo aspettando che la polizia locale venga a constatare che viviamo insieme, anche se la casa non è nostra…”.

Li ascolto a cuore aperto mentre mi raccontano la loro storia che presenta per la verità qualche aspetto improbabile. Mi colpisce la sicurezza ostentata di lui, mi fa tenerezza la fiducia timorosa di lei. Provo a consigliare loro di venire alla nostra Accoglienza in Via Kramer e chiedere un colloquio per fare un po’ di chiarezza sulla questione dei documenti. “Tranquillo, non c’è problema: sappiamo come fare!”.

Solo in questo momento mi accorgo che Francesca ha accoccolato le sue piccole mani nelle mani grandi di lui e sta cercando nei suoi occhi la certezza che tutto andrà bene… Paolo se ne accorge e le dà un bacio, piccolo, come le sue mani…
“Ciao frate Marcello, adesso dobbiamo andare. Con la vostra tessera dobbiamo farci un bel pezzo di Metro e poi una bella camminata. Magari ci rivediamo in Tricolore!”.

Prima di alzarsi Francesca ha infilato nel borsone due confezioni di cous-cous offerte dai volontari e due mele: “Queste sono per domani!”.

Li guardo uscire dalla piazza, portando ognuno il suo borsone. Non possono fare la coppietta mano nella mano… Scaccio dalla mia testa pensieri velenosi sulla “convenienza” della loro relazione. Perché non possono avere il diritto alla loro storia d’amore? Perché non dovrebbero sposarsi? Perché non deve esserci una piccola casa per la loro famiglia nella nostra grande Milano? 

In Opera San Francesco non riusciamo a offrire soluzioni a tutte le richieste che ci arrivano: ci impegniamo però ad ascoltare le persone e ad accoglierle nei nostri servizi.
Condividere le difficoltà è il primo passo per non sentirsi più soli.

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