Rientrando in convento passando dalla portineria avverto un certo odore insolito. Mi guardo attorno e sento delle voci provenire da una stanzetta: oso affacciarmi e vedo fra Gigi che sta medicando la caviglia piagata di uno dei nostri beneficiari che avevo già visto in Mensa. Colgo il sorriso sorpreso del frate, l’imbarazzo del signore, mi scuso per l’intrusione, saluto e vado per la mia strada.

Mi rimane nelle narici quell’odore pungente.

“Fra Gigi, chi era quel signore?”. “È Arturo, viene da noi a mangiare e ha una brutta flebite”. “Ma perché non gli dici di andare al nostro Poliambulatorio?”. “Glielo ripeto ogni giorno, ma intanto che si decide ad andare lo medico io…”.

“Ecco perché qualche giorno fa ho visto fermarsi a lungo in portineria con te il nostro medico di famiglia: glielo hai fatto visitare?”. Fra Gigi sorride come l’avessi scoperto.

“Ma dove vive l’Arturo?”. “È in strada e dorme in Piazza 24 Maggio”. “E tu come lo sai?”. “Gliel’ho chiesto, perché con le caviglie che ha non dovrebbe rischiare di infettarsi ed è importante che dorma al pulito. Ho voluto controllare se mi raccontava balle e gli ho detto di farmi vedere dove stava di notte: allora lui mi ha invitato a casa sua”. “Ma non dorme in strada?”. “Appunto, una sera mi ha accompagnato ‘a casa sua’: mi ha portato sotto il suo portico, davanti all’ingresso di una banca. Nascosta dietro una rientranza ha tirato fuori casa sua: una branda, un sacco a pelo, un piumino e un po’ di cose per la notte…”. “Ma le lascia lì anche durante il giorno?”. “Sì, quelli della Banca e anche diverse persone che abitano vicino ormai lo conoscono: non toccano le sue cose, lo salutano per nome, gli fanno anche un’offerta. Quelli del supermercato vicino, da quando ha smesso di bere, gli fanno lo sconto o gli regalano qualche confezione di alimentari aperta. Alla mattina lui si sveglia prima delle sette, raccoglie tutte le sue cose, ripiega la branda, la ricovera nella sua rientranza, lascia tutto pulito, sale sul tram e incomincia il suo pellegrinaggio in città. Verso mezzogiorno viene a mangiare alla nostra Mensa Concordia e spesso passa qui da me”.

“Almeno ha smesso di bere!”. “La sua flebite devastante è un regalo di quel maledetto alcol. Si stava bruciando la vita, ma a un certo punto l’ha capita e ha smesso. È come se avesse ritrovato un motivo per vivere!”. 

“Certo che però non fa una bella vita, e poi avrà quasi settant’anni: che futuro ha davanti?”. “Ho provato a dirglielo, per spingerlo a chiedere un colloquio con i volontari dell’Accoglienza di OSF e provare a costruire insieme un progetto di riscatto, di uscita dalla strada. Sai cosa mi ha risposto?”. 

Fra Gigi mi fissa con due occhi tra lo stupito e il divertito: “Mi ha detto con un’aria serena: ‘Guarda che non è impossibile vivere così!’”. 

A tutti e due è scappata una piccola risata: ma come si fa a rispondere in quel modo?

L’Arturo non dà fastidio a nessuno, non importuna, non ruba, non si ubriaca più. Adesso ha preso l’abitudine di venire in OSF a farsi la doccia. Non puzza più così tanto. Incontrarlo per strada o in Mensa per me è come una provocazione. 

Io gli chiedo: ma come fai a vivere così? 

E mi sembra che lui chieda a me: e tu come fai a vivere così? Sei sicuro che il tuo modo di vivere non faccia più danni del mio?
Una domanda come questa farebbe sicuramente arrabbiare molta gente per bene, ma lo sguardo dell’Arturo mi scava dentro.

Cosa possiamo imparare dalla gente che vive in strada?

fra Marcello Longhi

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