Pubblicato il 27 Gennaio 2025 Esiste qualcosa di più rivoluzionario, in questo paese anestetizzato alle ingiustizie, di dare un piatto caldo a chi ha fame? Questo ho pensato mentre fra Marcello e Simona mi mostravano l’enorme struttura dell’Opera San Francesco che offre a chi ha bisogno un pasto a pranzo e uno a cena, una doccia e dei vestiti puliti da poter indossare col freddo o quando morde l’afa milanese. Sono rimasto ammirato da questa organizzazione tenuta in piedi da tanti volontari, sparsi in ogni angolo della struttura, ciascuno addestrato a svolgere al meglio la propria mansione: chi cucina, chi impiatta, chi ritira gli abiti usati, chi dà un kit di indumenti intimi prima di far accedere alla doccia. Tra le calze c’è anche un flaconcino di profumo.Dietro questa grande macchina, che ho così velocemente descritto lasciando fuori altri servizi determinanti (lo sportello psicologico, un medico di base, il centro di reclutamento per trovare un lavoro…) non c’è il Comune e non c’è lo Stato, ci sono privati che hanno a cuore la città, gli altri, la chiesa, i poveri. Ogni giorno c’è un’Italia che offre prove di altruismo senza clamore e mi ha rinfrancato entrare in un posto come questo che metaforicamente è anche un luogo di ripartenza, non solo di sosta.Sono arrivato a metà mattina in un giorno di fine settembre, ho camminato per i chiostri, tra fiori e alberi antichi che stanno di fianco ad altri piantati di fresco. Ho aspettato con Simona e fra Marcello l’ora di pranzo. Quando è suonata la campana di mezzogiorno in coda allo sportello di ingresso c’erano già madri coi bambini, uomini e donne, anziani e ragazzi. Facce come la mia, come quelle di tutti noi, che si trovano lì in coda perché a volte si sbaglia di grosso e perché altre volte basta un colpo di sfortuna ben assestato e tutto attorno a noi crolla. Facce in cui possiamo specchiarci.Forse questi luoghi, ho pensato uscendo per andare a prendere il treno verso casa, esistono anche per farci sentire utili. Noi che facciamo lavori liquidi, impalpabili, intellettuali, sentiamo che in certi momenti il senso del nostro fare sfugge. Entrare qui dentro e rimboccarsi le maniche è allora un buon modo di ritrovare una motivazione importante, di ricordarsi che viviamo in mezzo agli altri anche quando sono invisibili.Marco Balzano è uno scrittore milanese e docente di scrittura. Tra i suoi romanzi più noti, “L’ultimo arrivato” con cui ha vinto il Premio Campiello e “Resto qui”. Da poco è uscito “Bambino”.