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Le testate dei giornali, i titoli dei TG e i dibattiti televisivi e radiofonici sono stati dominati in quest’ultimo mese dalle vicende dei migranti e dalle prese di posizione del nuovo governo. Non è mia intenzione entrare nella delicata questione che non è certamente di facile soluzione, che interpella fortemente la comunità europea, che sconta ritardi e carenze di politiche sociali rivolte ai migranti. Desidero solo ricordare che proprio in questi giorni, esattamente il 20 giugno, si è celebrata la Giornata Mondiale del Rifugiato voluta dalle Nazioni Unite per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di milioni di persone costrette a lasciare la propria casa per fuggire da guerre, violenze, dittatura e fame.

Sensibilizzare è un parola impegnativa ed esigente perché richiede equilibrio, senso di responsabilità, eticità, onestà di valori. Non si può scadere negli slogan o, peggio ancora, in affermazioni populiste o di parte.

Sensibilizzare vuol dire rendere qualcuno più consapevole, cosciente e partecipe di un problema o di una situazione. Per noi di OSF la sensibilizzazione è un dovere che si affianca all’altro importante impegno quello di soccorrere poveri e povertà di ogni tipo, economiche, sanitarie, relazionali. Riteniamo sempre urgente aiutare chiunque ci legge e ci segue a comprendere l’ampiezza del fenomeno e le sue conseguenze sulle persone.

Sì, perché i migranti sono innanzitutto Persone. Si possono chiamare in tanti modi – rifugiati, richiedenti asilo politico, extracomunitari… – si possono chiudere (ahimè!) nell’ambito dei numeri, ma per noi di OSF sono innanzitutto uomini, donne, bambini, minori non accompagnati che, carichi delle loro storie, chiedono di essere considerate prima di tutto come persone.

Anzi ritengo che la parola sia tutta maiuscola, PERSONA, per sottolineare la sua importanza in quanto tale ancor prima del bisogno che manifesta.

Persona con il suo passato di cui bisogna aver cura, che bisogna conoscere per orientare il presente verso un cammino di integrazione che inizia proprio da gesti semplici quali un pasto caldo, una doccia, un cambio d’abito, una visita medica, una parola di accoglienza.

Perché l’integrazione inizia da un’accoglienza rispettosa dell’altro, lontana dal pregiudizio, anzi carica di un giudizio formato alla scuola della solidarietà umana e cristiana.
È solo partendo dalla quotidianità di gesti concreti di attenzione, che nasce e si sviluppa la necessità del dialogo tra uomini e donne di culture diverse in un contesto di pluralismo che vada oltre la semplice tolleranza e giunga alla simpatia. Non serve una reciproca chiusura nelle proprie culture, non servono muri e fili spinati, al contrario si deve promuovere una fecondazione reciproca delle culture. Ciò suppone la conoscenza e l’apertura delle culture tra di loro, in un contesto di autentica comprensione e benevolenza.

Facciamo nostro il binomio “accogliere e integrare” per sensibilizzare noi stessi innanzitutto e chi ci sta intorno poi, per dire a tutti che il migrante o rifugiato è PERSONA. Possono anche chiudere i porti, ma nessuno può chiudere il nostro cuore e far tacere la nostra coscienza.

padre Maurizio Annoni

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