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“Sono arrivato in aereo dalla Costa d’Avorio, ormai 10 anni fa” – ci racconta Robert, un uomo minuto che parla poco, pensando molto prima di aprire bocca. “Ho 49 anni e quando sono partito avevo moglie e figli, adesso sono grandi. Giunto a Milano, ho trascorso 2 mesi a Varese in una specie di ostello aspettando che decidessero dove mandarmi. Poi ci hanno “dirottati” in Sicilia, in un centro di accoglienza vicino Ragusa, in una piccola città, Comiso. Qui ho trovato un piccolo lavoro nell’agricoltura, raccoglievo i pomodori. E nel frattempo aspettavo dalla Questura i documenti che non avevo ancora. Ricordo ancora che mi davano 30 euro al giorno. Nel centro di accoglienza c’erano 30 persone circa, si stava abbastanza bene. I siciliani ci trattavano con rispetto, come credo tutti gli italiani, penso siano abbastanza accoglienti. Io non mi sono mai sentito diverso dagli altri, non accettato.”

“Poi sono tornato a Milano. E rimasto qui. Ormai sono 8 anni che ci vivo. È dura. Rimpiango di aver lasciato la Sicilia, la Sicilia era un po’ come l’Africa. Sentivo di essere più vicino a casa. Adesso non lavoro. Ho fatto dei lavoretti di pulizia, nella sicurezza, ma l’ultima volta è stato 2 mesi fa. Vivo in Ortles. In tutti questi anni passati qui non ho mai avuto un posto mio. Questo non è normale. Mi vergogno di essere venuto qui ed essere riuscito solo a vivere in un centro di accoglienza, quindi di espedienti. Non mi so dare una spiegazione razionale, forse è colpa mia, o della società, di tutti. Di fatto vivo come un barbone e ovvio, non mi piace. Ho lo status di rifugiato politico e quindi non posso nemmeno tornare nel mio paese, dalla mia famiglia. Fisicamente non li ho più visti, li “vedo” solo con il telefono. Loro non possono certo venire qui e trovarmi come un morto di fame. Ormai per me tutto dipende da Dio, dall’irrazionale. Lascio a lui, a Dio il mio futuro.

Qui in OSF mi trovo bene, sono tranquillo. Ci danno da mangiare e ci lasciano lavare perché io e tutti quelli come me, abbiamo perso tutto. Credo che in OSF facciano quello che possono, ma bisogna fare di più. Io ho bisogno di lavorare. Oggi c’è un problema di dignità: nessuno dovrebbe fare la fila per mangiare.”

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