Pubblicato il 31 Luglio 2019 È uno dei volti sorridenti che accolgono i pazienti al Poliambulatorio di Opera San Francesco, Simona è una giovane suora originaria della Provincia di Lecce che ormai da qualche anno presta servizio in OSF. Prima di questa esperienza però ha trascorso lunghi periodi all’estero, in luoghi segnati dalla povertà e dalla carenza di medici: “Per 3 anni ha lavorato in Nigeria – ci racconta – nel pronto soccorso di un piccolo ospedale dove mancava tutto, anche i veri dottori. In questo modo ho imparato molto”. Sin da piccola il suo desiderio è stato quello di diventare medico, di aiutare gli altri, poi però, quando era ancora al liceo, la vocazione l’ha portata a dover scegliere, e ha scelto la sua fede che ha seguito senza però dimenticare il sogno di essere di supporto al prossimo nel campo medico. Così ha deciso di studiare Scienze infermieristiche, facoltà che le avrebbe permesso da subito di mettere in pratica la professione e aiutare i malati. Ottenuto il diploma di laurea ha cominciato a viaggiare e, oltra alla Nigeria, ha visitato tra gli altri paesi, la Repubblica Domenicana e Haiti. Qui in particolare cercavano personale subito dopo la tragedia ma nessuno voleva andarci. Dopo 3 mesi avrebbe dovuto tornare in Italia, invece è rimasta lì un anno e mezzo. “La situazione era davvero drammatica, moltissimi i rifugiati senza un luogo dove andare”. Al ritorno in patria ha prestato servizio in una clinica privata per 5 anni ma si è fatta in lei strada la certezza che quello non fosse il suo mondo. “Allora sono andata a Milano: ho contattato prima il Naga ma non volendo suore tra i loro operatori, mi hanno consigliato di andare in OSF. È stata la mia fortuna. Sono andata in Opera. Prima in odontoiatria, come volontaria, poi negli ambulatori, grazie a Padre Maurizio, dove ho trovato la mia dimensione. Di OSF mi è sempre piaciuta l’idea di essere un posto senza frontiere, dove le porte erano aperte. Per questo non sono più tornata all’estero, perché Opera ha avuto la forza di tenermi qui. Qui da noi poi il bello è che si cerca sempre di guardare in avanti”. Così se le chiediamo cosa ci sia ancora da migliorare nel servizio offerto ci spiega: “La precarietà di persone malate è un grave problema. Parlo di pazienti che magari hanno subito operazioni importanti e in alcuni casi vivono per strada. È un aspetto del mio lavoro che non mi lascia in pace, mi fa soffrire. Questo non poter far niente è duro da sopportare. Credo però che Milano sia una città solidale. OSF in particolare sta a cuore della gente della città. In molti si fidano di noi e il nostro operato è di testimonianza anche per coloro che non ci apprezzano, che hanno altre idee. Le nostre attività parlano per Opera San Francesco”. E per il suo futuro? Come si vede tra qualche anno? Sorride e dice: “Qui, con il desiderio di condividere più tempo con queste persone, con i miei pazienti. Molti mi invitano nelle loro case, mi fanno sedere alle loro tavole festose. Questo mi ha cambiata, mi ha fatto capire ciò che devono affrontare e ciò di cui hanno realmente bisogno. Di relazioni. Ora, mi commuove persino il fatto che mi chiamino per nome”.