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I pasti gratuiti e le docce per chi ne ha bisogno, uomini e donne, insieme a vestiti e scarpe adatte alla stagione: molti di voi conosceranno Opera San Francesco per questo. Era così anche per me. Quando sono andata a visitare quest’oasi nel cuore del quartiere Porta Venezia però, ho scoperto un contributo non meno prezioso: il filo invisibile con cui agganciano con grazia centinaia di esseri marginali, a rischio, spesso soli, per tenerne traccia attraverso i marosi della vita metropolitana da cui potrebbero essere inghiottiti in ogni momento.

Nell’epoca del capitalismo della sorveglianza, in cui la tracciabilità serve a controllare e punire, oppure al micro-marketing su misura per spingerci a comprare, o ancora a tenerci incatenati al cellulare a compulsare contenuti scelti per noi da algoritmi sempre più sofisticati, mi allarga il cuore che frati e volontari s’industrino a monitorare l’umanità sofferente che passa dalle grandi stanze pulitissime e curate di viale Piave al solo scopo di averne cura e poter meglio aiutare. Per mangiare e lavarsi, gli utenti, devono registrarsi. Nessun controllo poliziesco, per carità. Opera rilascia un tesserino magnetico per accedere ai servizi che dura un mese; serve a monitorare i servizi a cui gli utenti accedono. Il momento del rinnovo è l’occasione di fermarsi, guardarsi negli occhi e parlare, della situazione presente e – tema spesso tabù – del futuro. Ci vuole una preparazione speciale per gestire i colloqui.  Fra Marcello, il presidente, mi spiega che è un passaggio delicatissimo, e una direzione in cui sempre più vogliono investire in futuro: non solo rispondere ai bisogni primari, ma creare spazi dove provare a ricostruire una vita. La speranza più grande, infatti, resta quella di aiutare chi passa dalla struttura a rimettersi in piedi. “Il problema più grosso”, mi dice, “è che molte di queste persone, alla fine, non si vogliono abbastanza bene”. Non ci avevo mai pensato, in questi termini. Lasciare la strada o le innumerevoli situazioni di dipendenza o disagio che li portano a strisciare il tesserino in viale Piave richiede uno sforzo immane, e non è mica soltanto una questione di volontà. Per sostenerlo bisogna aver conservato, o riuscire a imparare, un po’ di amore per se stessi, specialmente se là fuori non c’è nessuno che ti vuole bene e ti aspetta, qualcuno o qualcosa per cui vale la pena lottare. Spesso, poi, serve anche la capacità di perdonarsi per gli errori e gli “scivoloni”, o comunque di liberarsi dal senso di colpa, una trappola mortifera che ha ben poco a vedere col senso e l’assunzione di responsabilità, e alimenta la giostra infernale di dover giustificare, finanche meritare la propria esistenza, in una fuga senza fine. Quanto può essere difficile volersi bene, anche solo un pochino, e pensare di meritare qualcosa, quando intorno c’è una società intera che ti fa sentire un fallito, un rifiuto, una zavorra, una minaccia, un invasore indesiderato? Quanto feroce può diventare l’eco delle stesse voci dentro la tua testa?

Tornando a casa in bici pensavo alle tante fortune della mia vita, al privilegio immotivato di essere nata da questo lato del Mediterraneo, sentendomi immensamente grata e insieme inquieta. In un qualche drammatico naufragio dell’esistenza, ce l’avrei, io, quella capacità di amarmi, perdonarmi, sperare, credere di meritare una nuova possibilità, cercare di conquistarmela? Pensavo che secondo me, sotto sotto, tante persone demonizzano i poveri, gli immigrati, i cosiddetti “spostati” e cercano di spingerli lontano dai loro sguardi e dal fortino dei palazzi signorili perché sono uno specchio in cui fa troppa paura guardare. Fa paura chiedersi cosa faremmo, chi saremmo, cosa diventeremmo, se toccasse a noi trovarci al posto loro. Pensavo a libri geniali e feroci come Cecità di Saramago e La strada di McCarthy, che ci costringono a pensare proprio a questo.

Per questo tessere il filo invisibile, coltivarlo, rinforzarlo, è essenziale, come pure il modo in cui Opera accoglie. Trattando tutti come persone, con attenzione, rispetto e, quando serve, il necessario rigore; in spazi puliti, moderni e belli, non semplicemente dignitosi. Opera San Francesco è un posto che “costruisce umanità”, e non solo tra chi striscia il tesserino. Può aiutare anche chi vive barricato nelle proprie certezze ad aprire un varco verso un modo diverso, più tollerante, aperto, empatico – umano, appunto – di guardare a se stessi e agli altri, non dall’alto in basso, ma sentendoci tutti compagni di viaggio sulla stessa, traballante barca.

Benedetta Tobagi

Milano, 26 luglio 2023

L’autrice
Benedetta Tobagi è giornalista e scrittrice. Il suo ultimo romanzo, La Resistenza delle donne, pubblicato da Einaudi, ha appena vinto il Premio Campiello 2023.

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