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Sebastian sembra davvero più giovane di quello che è. Ha 23 anni e viene dalla Colombia. È in Italia da un anno e mezzo, dal dicembre 2022.
“Ho sempre avuto il sogno di venire in Europa. Sono cresciuto in un ambiente difficile, specie economicamente. Sono nato a Pereira, una cittadina di 400mila abitanti e vivevo nelle favelas, in una casa fatiscente di legno. Sono figlio unico e sono diventato orfano presto. Mio padre nel 2015 si è suicidato: era malato di cancro e sapeva che non sarebbe guarito. Così ha deciso di velocizzare il processo, purtroppo. Un altro duro colpo è stato nel 2018 quando la mia casa è andata distrutta per via di un incendio. Improvvisamente non avevamo più niente. E poi la malattia di mia madre: un declino rapido anche dovuto al fatto che non potevamo curarci perché poveri e senza alcuna assistenza sanitaria. A 19 anni non avevo più nessuno. Così ho deciso di partire per l’Italia e di farlo da solo”.

La povertà e la perdita della famiglia hanno certamente condizionato da subito la sua vita negativamente. Sebastian però ha dalla sua un’immensa voglia di conoscere e la determinazione giusta per raggiungere il suo sogno. Negli anni a seguire ha continuato a studiare autonomamente e a cercare un lavoro che gli permettesse di raggiungere l’Italia. 

“Mio padre quando avevo 7 anni mi regalò un atlante mondiale e a 9 sapevo già tutte le capitali del mondo. È una delle mie passioni la geografia e anche le lingue. Ne conosco parecchie: spagnolo, italiano, portoghese, inglese e ora da solo sto migliorando il francese. E questo mi ha salvato. A un certo punto ho mandato il cv a una piattaforma di lavoro in Colombia e mi hanno chiamato. Ero un moderatore di contenuti, poi ho trovato un’altra posizione nell’assistenza clienti di Whatsapp, prima da remoto poi da Bogotà. Tutto serviva per risparmiare e andarmene all’estero”.

Sebastian voleva venire in Italia perché grazie ai social aveva conosciuto una ragazza di Milano. E, da grande amante del calcio, aveva il mito di Maradona e del campionato italiano. E alla fine ce l’ha fatta. Quello che ha affrontato prima di riuscirci è una lunga storia: ha vissuto da una sorellastra nelle campagne colombiane, quasi in mezzo al nulla, è arrivato sino a Lima nella speranza di un lavoro ed è stato rimandato al mittente e molto altro.

“Quando sono arrivato con i miei mezzi in Italia senza l’aiuto di nessuno, i genitori della mia amica non ci credevano. I risparmi però sono finiti in fretta, ma ero comunque convinto fosse la strada giusta. Per caso poi ho conosciuto OSF, sono andato in Mensa e mi sembrava strano di poter mangiare gratis: in Colombia non credo esistano realtà simili. All’inizio è stata dura: prima dormivo in un ostello con le cimici da letto, poi a Pioltello ma era una brutta situazione quella in cui mi trovavo, dovevo andarmene. L’altro problema è che non avevo il permesso di soggiorno e quindi era impossibile trovare un lavoro. Sono arrivato come turista. Così ho fatto traslochi per sopravvivere. Poi grazie all’aiuto della Caritas ho fatto i documenti: è stato un processo lunghissimo ma, essendo finalmente in regola, Francesca dello Sportello lavoro di OSF, mi ha aiutato a trovare un’occupazione. Ora lavoro in un negozio di maglie sportive per fare un tirocinio di 6 mesi retribuito. Ho solo un giorno libero, mai il week end perché è il momento in cui c’è più gente. Di certo sono uscito dalla mia zona di confort: stare in mezzo alla gente è diverso che lavorare su un pc. Parlando le lingue però ho facilità a creare contatti. E stare in mezzo al calcio mi piace: tifo Napoli per via di Maradona ma anche l’Inter perché degli interisti che ho conosciuto mi hanno portato allo stadio. Per adesso va bene così ma voglio migliorarmi, quindi spero di avere delle occasioni per fare altro.

Vorrei studiare giornalismo o intermediazione culturale. Mi piacerebbe anche fare le telecronache delle partite di calcio: mi arrabbio molto quando le vedo in tv e i giornalisti sbagliano i nomi dei calciatori!

Per me c’è un mondo affascinante dietro il calcio e vorrei trasformare la mia passione in un lavoro. Un volontario di OSF mi ha presentato un ragazzo che fa il giornalista e ha un podcast sul tema e io collaboro con lui: parlo di squadre sconosciute di calcio nel mondo. Chissà che non nasca qualcosa di buono da questa attività.

Milano ha tutto ma l’unico modo per sopravvivere qui per me è condividere con un amico, spendo 250 € per una stanza. Potrei dormire anche in una scatola, sono giovane.

Da quando sono qui mi sembra di avere solo amicizie superficiali, sento le differenze culturali. Credo che le persone non si fidino di una persona con una storia come la mia. Io stesso mi sento ancora un po’ un rifugiato colombiano. Il fatto di lavorare però mi dà una dignità sociale. C’è ancora tanta strada da fare. Da qui a un anno vorrei trovare un lavoro migliore. Mi piacerebbe anche giocare a calcio a 5”.

I sogni e le speranza di Sebastian sono simili a quelli di qualunque giovane: uno sguardo al futuro ma anche la voglia di vivere la sua giovane età.

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