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Da 15 anni Erica lavora in OSF come psicologa. Dall’inizio del suo percorso a come è strutturato oggi il Servizio del Poliambulatorio di Opera San Francesco, molte cose sono cambiate. Attualmente il team di lavoro è formato da 30 persone tra cui psichiatri, psichiatri infantili, altrettanti psicoterapeuti dell’età evolutiva, psicoterapeuti. Inoltre già da qualche anno è stato istituito uno Sportello psicologico dove è sempre presente una delle 5 psicologhe del coordinamento che ha il compito di garantire il primo colloquio per capire la storia del paziente e le necessità che portano alla relativa proposta terapeutica.

È proprio da qui che arrivano molte delle persone che hanno bisogno di sostegno psicologico, ma anche dalla fitta collaborazione con la rete di enti esterni che OSF ha intessuto in questi ultimi anni. Il Poliambulatorio al momento offre un servizio psicologico psichiatrico ben strutturato e dunque, sia altre associazioni che ATS stessa, le segnalano pazienti e casi da seguire. 

Così, dalle iniziali 30 visite al mese, siamo giunti a 260 prestazioni psicologiche e psichiatriche mensili.

Tra le storie di pazienti che Erica ha seguito, ce ne racconta una davvero toccante che riguarda un’intera famiglia dell’Iran che, grazie all’aiuto dei nostri professionisti, è riuscita a ricucire uno strappo che sembrava ormai non più sanabile.

Questo nucleo famigliare è arrivato in OSF su segnalazione del CAS – centro accoglienza straordinaria – dove i richiedenti asilo vengono ospitati in attesa del riconoscimento di protezione internazionale. Si tratta di due giovani coniugi di 37 e 31 anni con bambino di 4 anni. Il loro viaggio è stato lungo: scappati dall’Iran, con visto italiano sono arrivati a Malpensa, per poi passare da Amburgo e dirigersi in Svezia. Qui però non hanno ricevuto alcun aiuto e sono stati quindi prelevati dalla polizia e portati in Italia – secondo il trattato di Dublino – in un centro apposito.

Il neuropsichiatra svedese aveva diagnosticato l’autismo nel bambino perché non parlava, mentre all’arrivo in OSF, col tempo si è capito che erano tutti traumatizzati. Il padre era stato molti mesi di carcere: pur non essendo un attivista politico, come figlio di un generale in pensione, era stato perseguitato e con lui tutta la sua famiglia presa di mira in Iran.

Per uscire su cauzione ha perso la casa prima e poi ha dovuto vendere l’azienda di famiglia dove era ingegnere industriale. Quando è fuggito quindi non aveva nulla. Tutto questo ci è stato raccontato grazie a una mediatrice culturale con la quale entrambi i coniugi parlavano in farsi: non è stato facile, non si fidavano della collaboratrice perché essendo della loro stessa lingua, temevano potesse denunciarli e creare loro dei problemi.

Tutta la famiglia è stata in cura in OSF un paio d’anni. Il bambino è risultato non autistico e anche la coppia, dopo molti problemi, specie di comunicazione fra loro, è riuscita ad affrontare ciò che aveva subito. Lui è stato a lungo in crisi sapendo che il padre era finito in carcere a causa sua, il senso di colpa era molto pressante.
La madre – un’artista, una pittrice – così come tutta la famiglia, ha dovuto sopportare una caduta sociale terribile e condizioni di vita estreme nei centri d’accoglienza, oltre che avere sempre paura di essere portata ancora via.

Lo SPRAR – Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – dove sono stati condotti in un secondo momento, organizza però validi corsi per rinserimento sociale, grazie ai quali il padre ha poi intrapreso un tirocinio in un’azienda di Milani dove, in poco tempo, ha iniziato a svolgere la sua professione di ingegnere aziendale. Lei oggi fa mostre ed è grafica. Sono nati altri 2 figli e ora il bimbo più grande ha 9 anni e va a scuola.

È stato un lungo percorso ma ora sono autonomi, lavorano e hanno superato i loro traumi anche grazie all’impegno di OSF e del suo team di psicologi e psichiatri. Anche la peggiore delle vicende famigliari, può trasformarsi in una storia a lieto fine.

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