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L’Associazione Nazionale per la Tutela della Fanciullezza e dell’Adolescenza permette a OSF di estendere, attraverso questa realtà, il suo aiuto anche a un target che non è il focus dei servizi di Opera San Francesco, cioè quello dei giovani e giovanissimi, spesso non accompagnati. L’Associazione ha al suo interno diversi servizi e OSF ha supportato le 5 comunità educative che si occupano ognuna di 5 minori per un totale di 25 giovani che vanno dai 4 ai 17 anni.

Si tratta soprattutto di minori non accompagnati, italiani e stranieri, protagonisti spesso delle storie di cronaca che tutti noi conosciamo. Sono ragazzi arrivati al sud Italia via mare che poi sono riusciti a raggiungere il nord del nostro paese in modo rocambolesco. Cercano di andare lì dove sanno che c’è maggior possibilità di ricevere aiuto e integrarsi. Di solito sbarcano a Lampedusa e arrivano dai centri di accoglienza. Spesso dicono di avere parenti in Lombardia con i quali desiderano quindi ricongiungersi e per questo si presentano agli uffici di Milano dedicati proprio ai ragazzi stranieri non accompagnati (Ufficio di pronto intervento per minori non accompagnati in via Scaldasole che fa capo all’Unità di politiche di inclusione) e da lì sono inseriti in varie comunità. Da queste inizia il loro percorso per una difficile integrazione. Si tratta di una strada impegnativa: di norma non hanno alcuna conoscenza della lingua italiana e quindi devono seguire prima di tutto progetti di alfabetizzazione.

Molti di loro provengono da Mali, Burkina e Gambia e hanno subito lunghe carcerazioni in Libia, per dimenticare le quali è necessario un lungo percorso di recupero. Tra i ragazzi che OSF ha potuto aiutare in questi anni ce ne sono due, egiziani, la cui storia è un bell’esempio di ciò che di buono si può fare collaborando e sostenendo realtà virtuose del terzo settore.

Entrambi avevano una situazione famigliare molto complicata e sono stati “spediti” in Italia per riscattare la propria famiglia in povertà. Sono arrivati a Lampedusa, non sapevano l’italiano ed erano impauriti. Hanno imparato velocemente la lingua e in seguito sono stati indirizzati a un percorso di ristorazione uno e sartoria l’altro. Ma soprattutto hanno superato quello che viene chiamato “Trauma della doppia identità”: infatti sono stranieri a tutti gli effetti ma vengono inseriti improvvisamente in un contesto occidentalizzato, e questa è la fatica maggiore. Devono inoltre impegnarsi nella rielaborazione del trauma migratorio. E non dimentichiamo, non hanno alcun contatto con la famiglia.

Tutti e due hanno superato il triennio di scuola superiore e uno è stato assunto in una azienda della grande distribuzione che si occupa di sartoria da uomo, ha un buon lavoro e si è ricongiunto con il padre, e ora sono entrambi di supporto alla famiglia. Ma non solo: ora vuole arrivare fino alla maturità e forse iscriversi alla scuola di design. Grazie a questo impiego sicuro, può mandare i soldi a casa. Di norma l’Associazione dà ai ragazzi 50 euro al mese per spese in più e tutti li mettono da parte e li mandano al paese e così fanno anche per il primo stipendio. Non li tengono per sé ma pensano alla loro famiglia.

L’altro ragazzo ha trovato lavoro in un albergo milanese. Entrambi possono quindi mantenersi e hanno un percorso di vita relazionale molto normale. In tutto questo c’è anche la mano di OSF che con il suo concreto supporto aiuta a dare di più a questi ragazzi.

“Possiamo dire che ce l’hanno fatta davvero – ci dice la Dott.ssa Sonia Oppici Coordinatore Generale dell’Associazione – non c’è alcuna differenza tra loro e dei ragazzini italiani della stessa età.”

Vengono seguiti anche ragazzi italiani dall’Associazione ma per loro è tutto più semplice, meno impegnativo: la lingua è la stessa, non hanno bisogno di documenti, spesso hanno una famiglia di riferimento. Avendo a che fare con questi giovani si evince come gli stranieri siano molto più adulti e responsabili: non hanno la “fortuna” di vivere l’adolescenza, di fare stupidaggini. Si sentono responsabilizzati perché per esempio per pagare i loro viaggi le famiglie spesso si vendono tutto, anche le pecore. Tutto per dare una possibilità a un figlio e quindi a tutta la famiglia. Parliamo di paesi dove alcune situazioni sono incredibili: la donna non ha diritti e queste madri strappate ai propri figli solo una volta ogni 15 giorni riescono a sentirli grazie all’unico posto in paese dove c’è internet.

Il lavoro fatto dall’Associazione è certamente buono: la percentuale di successo è dell’85 per cento. È alta perché c’è un buon lavoro di presidio clinico e sociale grazie agli operatori. Negli ultimi 10 anni, dei 70 ragazzi stranieri ospitati, solo uno ha avuto un caso di rilevanza penale.

Questi giovani superano mille ostacoli e ce la fanno, davvero, si integrano e, alla fine, sono più italiani degli italiani.

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